Mettiamo anche Spampinato sul conto di una parte di questa città, quella dei galantuomini abituati al consenso, al silenzio. Questo è un omicidio in nome collettivo e si è andato compiendo per le strade e le piazze, tutte le strade e le piazze, nelle cancellerie di Tribunale, negli uffici della gente che conta, nei rapporti di polizia, nella trama dei silenzi e delle omissioni.
Mario Genco
Nel pieno degli anni di piombo un delitto comune diventa il caso italiano più lungo della storia del Dopoguerra, con effetti che si ripercuotono a distanza di decenni. Teatro di una vicenda che si presenta come metafora della Sicilia dei contrasti e specchio dell’Italia dei veleni è Ragusa, la città più a sud d’Europa, la più soporosa ma anche la più intossicata. Qui nasce l’accrocco perfetto: il 25 febbraio 1972 viene ucciso un ingegnere dalla vita movimentata. Un giovane giornalista comunista, che sta indagando per “L’Ora” sulle trame nere nella Sicilia sudorientale, accusa del delitto il figlio del presidente del tribunale, che lo uccide il 27 ottobre, diventando così un assassino per dimostrare di non esserlo.
Una “storia semplice”, che però si complica perché il caso giudiziario sul primo delitto e gli effetti sociali del secondo determinano una catena di implicazioni che trasferiscono l’interesse privato sulla vicenda su un piano pubblico, coinvolgendo sempre più la città in uno scontro tra parti sociali e istituzioni, entro una spirale che mette giudici contro giudici, società civile contro stampa locale, partiti contro magistrati e che, in una escalation senza tregua, finisce per coinvolgere figure come Stefano Delle Chiaie e ministri come Diliberto, creando a distanza di quasi quarant’anni nuovi effetti dirompenti e nuovi guasti. Ma nessuno saprà mai chi ha ucciso il 25 febbraio Angelo Tumino e nessuno riuscirà a stabilire il contesto nel quale Roberto Campria decide di sparare a Giovanni Spampinato in una sera di fine ottobre davanti al carcere dove si costituisce. Si parlerà di mandanti occulti che avrebbero armato Campria per zittire un giornalista troppo interessato alle sordide manovre eversive in Sicilia, sarà evocata anche l’oscura sciagura di Montagnalonga, saranno battute piste che portano alla Grecia dei colonnelli, saranno adombrate collusioni con il traffico di opere d’arte e la delinquenza comune in combutta con il neofascismo, ma il mistero rimarrà impenetrabile su tutto l’affaire: a designare uno sciasciano teorema siciliano che diventa canone inverso dell’Italia di ieri e di oggi.
Gianni Bonina, giornalista, vive a Catania. Ha fondato e diretto, dal 1999 al 2007, il magazine letterario Stilos. Ha pubblicato il romanzo Busillis di natura eversiva (Barbera, 2008; Lombardi, 1997), la raccolta di racconti L’occhio sociale del basilisco (Lombardi, 2001), il reportage L’isola che trema (Avagliano, 2006; Premio Alvaro 2007), i saggi letterari I cancelli di avorio e di corno (Sellerio, 2007), Maschere siciliane (Aragno, 2007; Premio Adelfia 2007) e Il carico da undici. Le carte di Andrea Camilleri (Barbera, 2007; aggiornato e rivisto nel 2009 con il titolo Tutto Camilleri). Per il teatro ha scritto Ragione sociale (Premio Pirandello 2000) e I buoni siciliani. Ha curato l’inedito di Serafino Amabile Guastella Due mesi in Polisella (Lombardi, 2000). Questo libro è un rifacimento totale dell’inchiesta Il triangolo della morte (Meridie, 1992).
"Il fiele e le furie - ragusa, il caso spampinato"
di Gianni Bonina
Edizioni Hacca
Pagine: 268
Prezzo: 17,00
ISBN: 978-88-89920-28-2
Anno: marzo 2009
collana Novecento
venerdì 27 marzo 2009
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